Minervino “Santu Vasili” presenta le tavole di San Giuseppe

Minervino “Santu Vasili” presenta le tavole di San Giuseppe

Le tavole di San Giuseppe sono grandi tavolate imbandite il 19 marzo in onore del Santo. L’usanza è diffusa in molti paesi dell’Otrantino, a Minervino di Lecce la devozione è cosi forte che le signore del paese lavorano tutto l’anno per la loro realizzazione. La tradizione ci racconta la signora Gina arriva da lontano, e fra canti e poesie popolari si preparano le pietanze: la massa con i ciceri, di cui si diceva, va cotta per la durata di un Pater Noster, lasciata riposare per il tempo di dieci Ave Marie e distribuita dopo la recita del rosario. È facile intuire che la famiglia devota non poteva mangiare altro che le rimanenze, qualora ci fossero state”. Fredy Cursano presidente dell’associazione Caccia e Pesca Santu Vasili spiega ” abbiamo deciso di fare le tavole per onore del Santo, ed è per questo che voglio ringraziare tutti, sperando e lavorando già per la prossima edizione”. La storia  delle “taule di San Giuseppe  prevede che venga presentato un piatto per ogni commensale, che è chiamato “Santo”. Il minimo è tre Santi, e cioè San Giuseppe, la Madonna e Gesù bambino, per cui andranno preparati nove piatti. Il massimo è tredici, come i componenti l’Ultima cena, dove i piatti di conseguenza saranno 169 (13 x 13). Oltre ai tre Santi di base si potranno aggiungere altre coppie, Sant’Anna e San Gioacchino, per arrivare a cinque e poi, nell’ordine, Santa Elisabetta e San Giovanni, San Zaccaria e Santa Maria Maddalena, Santa Caterina e San Tommaso, e per arrivare a tredici, San Pietro e Sant’Agnese; con un numero, però, sempre rigorosamente dispari. Oggigiorno le case dei devoti che allestiscono le tavole sono aperte e tutti possono assaggiare le pietanze esposte, ma per tradizione potevano partecipare solo “i Santi”, che erano scelti tra parenti e amici. Questi, dopo la messa, si riunivano a mezzogiorno e aspettavano l’arrivo del sacerdote per la benedizione e poi iniziavano a mangiare. Chi impersonava San Giuseppe comandava e decideva quando si dovesse smettere di mangiare un determinato piatto: il segnale era battere tre volte la forchetta sul suo piatto. San Giuseppe aveva come simbolo di comando un bastone con in cima dei fiori bianchi, a ricordo del miracolo che avrebbe consentito di individuare Giuseppe quale sposo della Vergine. Alla fine del rito i Santi, dopo aver chiesto a san Giuseppe l’esaudimento di un loro desiderio e dopo una preghiera per convalida, portavano a casa gli avanzi. La scelta dei piatti rispecchia le tradizioni di ogni paese e può prevedere la presenza di pietanze cotte o in parte crude. Nel caso del Salento si possono trovare lampascioni, rape, vermiceddhri, pesce fritto, pittule, massa e ciceri, verdura lessa, pasta col miele e mollica di pane, crema di fave con pane fritto, baccalà al sugo, zeppole, finocchi e arance ma non possono mancare i tòrtini o tòrtani, pani a forma di ciambella, del peso di 3 o 5 chili, con al centro un’effigie di san Giuseppe o della Santa Famiglia.Per restare nella tradizione il vino da abbinare dovrebbe essere un Primitivo.I devoti che allestiscono le tavole sono certamente salvi dal peccato di gola ma cadono in pieno nel peccato di superbia, in quanto sulle tavole vengono esposti i migliori cristalli, argenti, porcellane, merletti preziosi e preziosi ricami su lenzuolini, tovaglie e tovaglioli, orgoglio della padrona di casa.

La redazione

   

 

 

 

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